Decreto Rilancio – Riflessioni

Con una conferenza stampa tenutasi il 13 Maggio 2020, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Prof. Avv. Giuseppe Conte, insieme ai Ministri Gualtieri (Economia e Finanze), Patuanelli (Sviluppo Economico), Speranza (Salute) e Bellanova (Politiche Agricole, Alimentari e Forestali), ha presentato agli italiani un decreto, questa volta non sotto forma di DPCM, con tutto quello che ne consegue, che è una vera e propria manovra finanziaria, considerato il valore di 55 miliardi di interventi. Si tratta di ben 252 articoli, che potranno essere ancora modificati, accorpati o cancellati dall’esame che verrà effettuato in sede di discussione alle Camere per la loro definitiva approvazione. Certamente i tempi previsti e la burocrazia italica non aiutano a rendere agevolmente fruibile il contenuto del decreto, chiamato nel frattempo “Rilancio”. Come sempre, in Italia, i benefici per la popolazione, sia essa lavoratrice o imprenditrice, sono lenti ad arrivare, stretti in percorsi ad ostacoli, fatti di tecnicismi, procedure e metodi eccezionalmente complessi.
In attesa della pubblicazione in G.U. non ancora avvenuta mentre sto scrivendo, intendo valutare un articolo che corregge, seppur parzialmente, un provvedimento adottato dalla ultima legge finanziaria, licenziata a Dicembre dello scorso anno.

Mi riferisco all’art. 234 del decreto Rilancio che riguarda interventi in materia di credito di imposta per le attività di ricerca e sviluppo. Ebbene, la legge di bilancio (vecchia legge finanziaria) n° 160 del 27 Dicembre 2019 ha drasticamente ridotto la percentuale di investimenti in R&S che le imprese italiane potevano imputare a credito di imposta così come ha modificato i termini di usufruibilità di quanto spettante. L’attuale provvedimento ha inteso correggere una simile disposizione, per lo meno riguardo alle imprese residenti in alcune regioni d’Italia: Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna. Il resto d’Italia è stato escluso e, a mio avviso, è stato commesso un gravissimo errore. Infatti, se è vero che la motivazione addotta dal legislatore per giustificare l’aumento della percentuale dell’investimento in R&S ammesso a credito di imposta è dato dalla necessita di “incentivare più efficacemente l’avanzamento tecnologico dei processi produttivi e gli investimenti in ricerca e sviluppo delle imprese…e in materia di Covid-19” [cfr. art 234 decreto Rilancio], è altrettanto vero che la capacità di soddisfare una siffatta esigenza non può essere ascritta in toto alle aziende residenti nei territori regionali indicati, perché, altrimenti, si riterrebbero le altre imprese residenti nel resto d’Italia incapaci di sostenere l’avanzamento tecnologico del sistema paese. Siamo sicuri che non è questo lo spirito che ha alimentato il ragionamento operato dal legislatore, quanto quello, credo, di continuare a dare un impulso alla ricerca ed allo sviluppo delle imprese del meridione d’Italia che pagano uno scarto di efficienza se rapportate al livello medio della capacità di effettuare investimenti in R&S dell’intero sistema produttivo italiano che, dobbiamo sottolinearlo, è comunque in una posizione deficitaria rispetto al livello medio europeo. Ed allora, mi chiedo, non è più opportuno, profittando della contingenza straordinaria, effettuare un incremento delle risorse statali destinate al sostegno della R&S così da riportare almeno alle condizioni pre legge di stabilità finanziaria del 2019 il livello di contribuzione che lo stato garantisce alle imprese che investono in R&S? Ancora, per aiutare il Mezzogiorno d’Italia fissare, invece, quote percentuali più alte rispetto a quelle praticate ante legge di stabilità 2019? Per inciso, fino al 2019 la percentuale di costi in R&S che maturavano un credito di imposta era pari al 50% per alcuni costi ed al 25% per altri. La legge di stabilità finanziaria 2019 ha ridotto, dal 2020 in poi, al 6% ed, in alcuni casi, al 12% tale percentuale, stabilendo, oltretutto, che il credito di imposta sia spalmato in 3 anni. Un attacco indiscriminato e senza una logica apparente, se non quella di risparmiare risorse, al mondo della ricerca e dello sviluppo tecnologico del sistema imprese italiano. Una strada che va in controtendenza rispetto a quello che invece fanno le nazioni più sviluppate. Inoltre, la pandemia in corso ha evidenziato come la ricerca in genere è in assoluto l’ambito che più di tutti deve essere oggetto di sostegno continuo e crescente da parte degli Stati e, badate bene, mi riferisco sia alla ricerca pubblica che, ovviamente, a quella privata. Alla luce di quanto esposto segnalo, quindi, che la percentuale di credito di imposta sugli investimenti in R&S applicata alle aziende del Mezzogiorno è stata portata, mediante il decreto Rilancio al 45% per le piccole imprese che abbiano meno di 50 dipendenti ed un fatturato o un totale di bilancio non superiore ai 10 milioni di euro annui. Per le imprese medie e per le grandi la percentuale si riduce, rispettivamente al 35 ed al 25. Il tutto per un impegno di spesa per il triennio 2020-2022 di soli 145,5 milioni di euro. Una cifra che mi sembra veramente esigua se parliamo di una nazione come l’Italia, pur sempre settima potenza manifatturiera al mondo, la seconda d’Europa e la quinta al mondo per surplus commerciale con l’estero nei manufatti (dopo Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud), ciò dovuto ad un pacchetto di oltre 1444 prodotti di eccellenza che hanno generato nel 2017 ben 2108 miliardi di dollari di attivo (Fonte Fondazione Edison). Vi chiedo ancora: bastano questi dati per comprendere che l’Italia, praticamente senza aiuti particolari, è sempre geniale e dotata di cervelli e qualità che non dobbiamo dimenticare di avere? Vogliamo rendere ancora più forte la nostra capacità di produrre manufatti e prodotti agroalimentari di eccellenza così’ da impedire le razzie delle migliori imprese nazionali da parte dei predatori stranieri?
I posteri non dovranno sentenziare su tale materia in quanto è dovere, oggi, dei nostri governanti adoperarsi per sostenere la crescita del sistema della ricerca e dello sviluppo a tutti i livelli: universitario, statale e privato.
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